Sentirsi vivi significa lasciarsi attraversare da ciò che ci raggiunge: aprirci a sensazioni, emozioni, esperienze, pensieri, incontri, amori. Concederci di co-vibrare con essi e poi raccoglierne il distillato per farne patrimonio di consapevolezza. Co-vibrare tutti interi: corpo, mente, interiorità, spiritualità per trasformarci in laboratori di coscienza, sapienza, intelligenza esistenziale.
Riconoscere, accettare e dialogare con il proprio sentire, con le proprie emozioni, saperle esprimere e comunicare senza esserne travolti, essere empatici con quelle altrui, è puro SAPER VIVERE.
La nostra società non prevede una educazione al sentire e alle emozioni, né un rapporto evoluto con il pensare; né, tanto meno, ci insegna una sana integrazione di tutto questo. Così diventiamo soprattutto esperti di come reprimere, controllare, rendere socialmente accettabile il nostro sentire; abilissimi nel rifuggirlo o negarne l’importanza. E mentre, non ascoltate, le emozioni continuano ad influenzare la nostra attenzione e le nostre motivazioni, mentre silenziosamente continuano ad orientare le nostre energie e i nostri scopi, ci accontentiamo di vivere in una palude di “analfabetismo emotivo”, almeno fin quando non incorriamo in stati parossistici o psicopatologici.
Eppure, come ci insegnano Reich, Lowen e la Bioenergetica, questa condizione ha pesanti ripercussioni sulla nostra salute psicofisica: ogni volta che ignoriamo un sentire, che reprimiamo un’emozione, il nostro corpo-organismo registra la cosa e si contrae, si irrigidisce. Col tempo, ciò si cronicizza nella creazione di vere e proprie “corazze muscolari” e relative “strutture di carattere”, che rispecchiano le distorsioni energetiche generate da ciò che abbiamo inibito o bloccato.
Il disagio e la sofferenza che spesso ne derivano si manifestano anche con una paralisi “creativa”: ci si può paralizzare davanti agli eventi della vita, si possono arrivare a non vedere soluzioni e prospettive diverse, pur avendole sotto gli occhi.
Uno dei mezzi più efficaci per rimettere in moto il potenziale creativo, l’uomo lo conosce da sempre perché gli è connaturato: fare arte, esprimersi creando.
Anche quando non si tratti di Arte, di quella vocazione che richiede la dedizione di una vita, il fare arte spontaneo e in forma di gioco, senza pretese o giudizi sull’opera come facevamo da bambini per esplorare il nostro essere al mondo, ha forti proprietà ristrutturanti e salvifiche. A volte è sufficiente prendere in mano un pennello e tracciare pochi tratti colorati su un foglio, percuotere a ritmo un barattolo, fare un urlo o un movimento per muovere energie stagnanti e sentirsi liberati.
Lasciare una traccia di sé in ciò che si è creato “giocando” è anche mettersi ad una distanza privilegiata da cui potersi osservare, toccare, sentirsi, comprendersi. Ciò che ho dentro, ora è lì fuori: è uscito da me e posso vederlo/vedermi. Torniamo così alla consapevolezza: attraverso ciò che ho creato e comunicato, posso rivelarmi a me stesso e agli altri, posso meglio comprendermi e, magari, scoprire aspetti di me che non sospettavo.
E’ questo il luogo d’elezione dell’Art-Counseling: quella terra in cui un mio fare arte in modo giocoso e spontaneo incontra il bisogno di esplorarmi, conoscermi, esser consapevole di ciò che mi abita e farne tesoro per vivere in modo più autentico.Come funziona, dunque, l’Art-Counseling?
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